Un’onda arancione ha travolto il web: si tratta della campagna #NOESONERO organizzata con un flashmob sabato 13 febbraio su Facebook, Twitter, Instagram dal Comitato #NOESONERO, L’inclusione non si fa fuori!
Nel giorno in cui gli italiani conoscevano i nomi della squadra del governo Draghi, scoprendo che la leghista Erika Stefani sarebbe stata la Ministra della Disabilità, associazioni e famiglie hanno invaso le bacheche dei loro contatti con immagini polaroid bordate da un profilo arancione e l’hashtag #NOESONERO, iniziativa che ha l’obiettivo di manifestare il dissenso verso il decreto interministeriale n. 182/2020 che dà il via all’adozione del nuovo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato) e stabilisce le modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno.
Diretta a studenti e famiglie, disabili e non, insegnanti, educatori e tutti coloro che credono in una scuola davvero inclusiva, il flashmob di sabato scorso aveva lo scopo di far conoscere i punti più controversi di una riforma che rischia di mettere in pericolo l’inclusione scolastica.
Le parole d’ordine erano “L’inclusione non si fa fuori!”, “In classe un posto per tutti c’è”, “C’è sempre un modo semplice per spiegare cose difficili”.
Ma di cosa si tratta? Il decreto interministeriale 29.12.2020 n. 182 varato dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e le relative linee guida hanno ridefinito il PEI stabilendo alcune importanti novità.
Tra queste la possibilità che l’insegnante possa unilateralmente decidere, senza possibilità di intervento dei genitori, che uno studente disabile non sia in grado di seguire la sua materia, facendolo esonerare dalla disciplina o ridurre il monte ore di partecipazione.
Sino ad oggi i casi di esonero evidentemente esistevano, ma erano concordati con le famiglie in base alle esigenze educative dello studente, in modo da creare un percorso a misura dell’alunno. Introducendo l’esonero quale scelta insindacabile dell’istituto scolastico, si istituzionalizza un modello scolastico nel quale si punta a rendere “efficiente” il gruppo classe, senza inutili zavorre di studenti fragili che richiederebbero lezioni semplificate o, più banalmente, a misura di ciascuno.
Si istituzionalizza dunque la apertura di “spazi laboratoriali” ed “aule riservate”, ricreando di fatto le classi differenziali.
Sul punto Autilia Avagliano, consigliere di CoordDown (il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down che ha fatto da capofila alla protesta) ha dichiarato: «Ritengo e riteniamo che ciò possa gravemente nuocere alla causa dell’inclusione scolastica scardinando alla base un’impostazione normativa e culturale che è costata 30 anni di dure battaglie alle famiglie con figli con disabilità».
È chiaro che lo studente che non avrà la fortuna di incontrare nel suo percorso scolastico docenti illuminati rischia di essere sempre più allontanato dal gruppo classe, rendendo più difficile colmare la distanza dagli altri.
Un ritorno a concezioni passate: come efficacemente sottolinea Martina Fuga, responsabile comunicazione di CoordDown, il punto di partenza non dovrebbe essere infatti cosa può imparare o meno uno studente disabile, ma come l’insegnante può rendere accessibile la sua materia anche ad un alunno con difficoltà, quali strategie applicare per farlo partecipare e stimolare relazioni con i compagni.
In sintesi: come tenerlo nel gruppo classe e non spingerlo sempre di più verso classi speciali.
Non solo. Con il decreto 182/2020 passa anche un concetto culturalmente molto discutibile, il “debito di funzionamento”, secondo il quale lo studente disabile che, grazie a più ore di sostegno è riuscito ad arginare le sue difficoltà, che da elevate passano a medie, si vedrà ridurre il sostegno. Eppure, proprio la conservazione del numero di quelle ore potrebbe consolidare e migliorare i risultati.
Una petizione diretta al Presidente Matterella lanciata su change.org è stata sottoscritta in poche ore da oltre 18mila persone.
Quello che le famiglie e le associazioni chiedono con urgenza è un tavolo di confronto per ridiscutere i punti critici del decreto 182/2020.
Perché in Italia si torni a pensare che la diversità è una risorsa, e non solo nel giorno dei calzini spaiati.