Su Merqurio del 21 maggio scorso Antonio Vastarelli pone giustamente la questione di allargare il più possibile la politica alla partecipazione dei cittadini, in maniera effettiva e non formale. Sul fronte dei partiti raccogliamo una domanda posta da un illustre e stimato dirigente politico: «Perché il civismo attivo non entra nella vita dei partiti?»
La risposta potrebbe essere breve: perché i partiti si sono ridotti a combriccole chiuse. Ma può sembrare irriguardosa e superficiale se non si argomenta con la memoria della storia recente.
La cosiddetta “società civile” ha segnalato più volte l’inadeguatezza di un sistema di rappresentanza politica che, in realtà, è già in crisi sin dagli anni ’80 (!). La crisi, poi, esplose clamorosamente con “tangentopoli” e, infatti, in quegli anni i partiti andarono a caccia di profili più presentabili da candidare alla guida dei Comuni e nelle liste elettorali. Alcuni partiti sono spariti.
Ci fu la “stagione dei Sindaci” che aprì spiragli di speranze, ma durò poco. Furono presto classificati come “cacicchi” e il sistema dei partiti si richiuse subito nella sua autoreferenzialità.
Quel che è accaduto nell’ultimo trentennio è sconosciuto solo alle generazioni più recenti.
Il bisogno di cambiamento espresso dalla società ha trovato sponda in tanti “Movimenti” che, a destra e a sinistra, hanno raccolto ampi consensi (Forza Italia, Lega, Manipulite, Verdi, Arancioni, M5S, … e tanti altri a dimensioni locali). Tuttavia, pur conquistando ampi spazi di potere nelle Istituzioni democratiche, i Movimenti non hanno risolto la crisi della rappresentanza Politica.
Qualche partito che ha tentato di innovarsi (ad es. il PCI-PdS-DS-PD), ma la sua stessa tormentata storia – per certi versi – richiama il “tormento inverso” che sta attraversando il M5S.
In questo scenario, Napoli è stata un laboratorio creativo. Non sono mancati generosi sforzi di partecipazione che si sono prodotti anche in occasione delle elezioni amministrative. Chi può negare il vitalismo e l’entusiasmo che hanno accompagnato esperienze come Alternativa Napoli; Decidiamo Insieme, … e tante altre, ma l’esito è stato deludente. Una delusione che ha trovato il picco massimo anche nella più recente esperienza movimentista degli Arancioni locali. Il tutto è tristemente testimoniato dalla maggioranza dei cittadini che diserta il voto.
Che dire dunque? Se i partiti tradizionali ricalcano stili e comportamenti autoreferenziali, nessuno deve sorprendersi se il “civismo attivo” prova ad assumere una soggettività politica autonoma, magari, questa volta, più consapevole e responsabile che nel passato.
La crisi della Politica interroga sul significato più profondo della Partecipazione, sui metodi, sull’organizzazione, sui “luoghi”, sulle persone che possono rendere operante questo principio che – è bene ricordarlo – è una componente strutturante del processo di unificazione europea.
Mentre Partiti o Movimenti fanno fatica ad incorporare il metodo partecipativo, questa prassi è molto diffusa e praticata proprio nelle reti associative, più si esercita e più risulta incomprensibile il muro di gomma in cui il sistema politico si rinchiude. Sembra un dialogo tra sordi.
Se nelle sedi istituzionali ci saranno persone in grado di praticare culture autenticamente partecipative, sarà un vantaggio per la città; se, diversamente, il civismo si frammenta e si asserve alle logiche politiche dominanti, assisteremo ad un film già visto.